Teatro Elisabetta Turroni

VORREI UNA VOCE

con TINDARO GRANATA


con le canzoni di Mina

produzione LAC Lugano Arte e Cultura – Proxima Res

Scritto e interpretato da un attore amatissimo come Tindaro Granata, Vorrei una voce è frutto di un intenso percorso creativo realizzato con le detenute di alta sicurezza della casa circondariale di Messina, nell’ambito del progetto “Il Teatro per Sognare”. Il fulcro di questo monologo, costruito attraverso le canzoni di Mina cantate in playback, è il sogno: perdere la capacità di sognare significa far morire una parte di sé.

Con le detenute – racconta Granata – abbiamo messo in scena l’ultimo concerto live di Mina, alla Bussola, il 23 agosto 1978. L’idea era di entrare nei propri ricordi, in un proprio spazio, dove tutto sarebbe stato possibile, recuperando una femminilità annullata, la libertà di espressione della propria anima e del proprio corpo, in un luogo – come il carcere – che, per forza di cose, tende quotidianamente ad annullare tutto ciò. Ognuna di loro aveva a disposizione due canzoni di Mina e, attraverso il canto in playback, doveva trasmettere la forza e la potenza della propria storia… Non voglio e non posso portare in scena le ragazze della casa circondariale, perché quello che abbiamo fatto in quel luogo è giusto che rimanga con loro e per loro. In scena ci sono solo io: ma delle ragazze mi porto i loro occhi, i gesti, le lacrime e i sorrisi. Grazie a loro, racconto storie di persone che cercano un riscatto importante: l’amore per la vita, quella spinta forte che ti permette di sopportare tutto, pur di realizzare un sogno.”

L’ARAGOSTA

con FRANCESCA AIRAUDO


di Francesco Gabellini

regia Davide Schinaia

produzione Città Teatro

L’aragosta è l’ultimo testo scritto da Francesco Gabellini per il teatro, un monologo profondamente toccante e ricco di umanità portato in scena con intensità dall’attrice Francesca Airaudo. Con una lingua basata sul dialetto di Riccione, lo spettacolo dipinge la vita di una donna anziana, la cui solitaria esistenza si svolge davanti agli occhi dello spettatore attraverso un racconto intriso di dramma ma con divertenti parentesi comiche e di episodi surreali.

Lo spazio scenico, accuratamente disegnato da Paul Mochrie, trasforma gli oggetti quotidiani. E così il frigorifero, la lavatrice e altri elementi domestici assumono nuovi significati, diventando co-protagonisti di questa narrazione che si snoda tra il reale e l’assurdo, mentre l’elegante abito verde della protagonista contrasta con l’ambientazione domestica permeata di una mestizia dilagante.

Infine, l’aragosta, elemento che va a scardinare il ritmo del racconto, aggiungendo alla storia un piccolo tocco da film giallo. All’interno del testo sono presenti molte citazioni di autori cari a Gabellini e anche scelte narrative e di stile, che l’autore vive sempre, per sua dichiarazione, come omaggi ai Maestri di sempre.

LA MORTE OVVERO IL PRANZO DELLA DOMENICA

con SERENA BALIVO / PICCOLA COMPAGNIA DAMMACCO


ideazione e regia Mariano Dammacco

Uno spettacolo lieve e toccante intorno al più grande tabù della nostra cultura. In scena Serena Balivo dà corpo e voce a una donna non più giovane che ogni domenica va a pranzo dai suoi genitori ultranovantenni. Sebbene in buona salute fisica e mentale, i due genitori sono ben consapevoli che presto dovranno affrontare la morte, il nulla forse o magari un’altra vita, e così non parlano d’altro, arrivando pian piano a incarnare tutte le madri, tutti i padri e tutti noi dinanzi all’ignoto.

Lo spettacolo ci conduce dentro un rito che appartiene a molti, il pranzo della domenica, nella sua forma ultima, con una coppia di anziani e la loro figlia in attesa di separarsi, di doversi salutare. La morte ovvero il pranzo della domenica appare come un invito a partecipare a un congedo appassionato e divertito che prova a restituirci la bellezza della vita stessa all’interno dell’esperienza dell’ultima separazione dalle persone amate, e all’interno della potenza nascosta e piena di pudori dell’amore in famiglia, l’amore tra vecchi sposi, l’amore tra genitori e figli.

PRIME DONNE. Le figure femminili nell’opera di Giacomo Puccini

con LAURA MORANTE


testo a cura di Laura Morante musiche di Giacomo Puccini

con Francesca De Blasi voce soprano, Davide Alogna violino, Antonello d’Onofrio pianoforte

Donne sensibili e sensuali, forti e vitali, spesso inesorabilmente votate al sacrificio di sé. Dal catalogo operistico di Giacomo Puccini emerge una sorta di caleidoscopio femminile: in ogni titolo la personalità di una diversa protagonista si dipana attraverso il destino cui maestro e librettisti l’affidano.

Storie straordinarie che rivivono nella narrazione di un’attrice di talento come Laura Morante: Tosca, affascinante, altera e gelosa, capace di punire con un gesto estremo chi vorrebbe violare la sua dignità; Turandot, misteriosa e prigioniera di sé stessa, si nega alle gioie dell’amore; Manon, dilaniata tra opposti sentimenti, dalla gioia più contagiosa alla più oscura vulnerabilità; e ancora la fragile Butterfly, vittima di un sogno irrealizzabile. A esaltarne il carattere, ovviamente, la musica di Puccini.

FIGLI DI TROIA

di e con PAOLO CEVOLI


Paolo Cevoli in questo suo nuovo monologo racconta in chiave ironica e contemporanea il mitico viaggio di Enea paragonandolo ad altri viaggi che hanno segnato la storia dell’umanità. Da Cristoforo Colombo a Cappuccetto Rosso, dal principe vichingo Ragnar a suo babbo Luciano emigrato in Australia negli anni ’50.

Enea, eroe sconfitto, fugge da Troia in fiamme con le sue divinità in tasca, il padre sulle spalle e il figlioletto per mano: le sue radici e la speranza per un futuro migliore. Dopo mille peripezie giunge alla foce del Tevere dove trova una scrofa che allatta – segno profetico per il luogo in cui fermarsi – e mentre le donne preparano delle focacce, gli esuli troiani sacrificano la scrofa e i suoi maialini. Il viaggio epico del fondatore di Roma si conclude con un picnic a base di panini alla porchetta. Questo e tanti altri episodi del poema virgiliano sono al centro del racconto di Paolo Cevoli, per riscoprire i valori e le radici del popolo italiano. Così come fece Virgilio che ha scritto l’Eneide per dare una dipendenza nobile agli antichi romani, nostri progenitori. Ha pensato: piuttosto che essere figli di nessuno meglio essere figli di Troia.

L’ASSAGGIATRICE DI HITLER

con SILVIA GALLERANO e ALESSIA GIANGIULIANI


liberamente tratto da Le assaggiatrici di Rosella Postorino
drammaturgia di Gianfranco Pedullà e Rosella Postorino
uno spettacolo di Sandro Mabellini

Lo  spettacolo  è  la  trasposizione  scenica  del  romanzo  Le  assaggiatrici  di  Rosella  Postorino. La versione teatrale – nello sforzo di restare fedele allo spirito originale del romanzo – indaga la possibilità per ogni individuo di scivolare nella colpa senza averlo scelto, di colludere con il Male semplicemente per istinto di sopravvivenza. E indaga la condanna tutta umana a dover «assaggiare» il mondo per vivere, ma con il rischio costante e ineludibile di morire. Di tutto questo è metafora il nazismo, che con la sua violenza invade l’Europa e la vita di Rosa Sauer, la protagonista. Rosa Sauer è un personaggio di invenzione, ma il suo lavoro è ispirato a quello di Margot Wölk, donna realmente esistita che poco prima di morire confessò di essere stata, da giovane, un’assaggiatrice di Hitler.

L’ALTEZZA DELLE LASAGNE. MONOLOGO DI SOPRAVVIVENZA GASTRONOMICA

con VITO


di Francesco Freyrie e Andrea Zalone

regia di Daniele Sala

In “L’altezza delle lasagne” fil rouge è il mondo della cucina con tutte le sue mistificazioni, ossessioni e derive. Vito, attore comico da sempre appassionato  gourmand e conduttore di seguitissime trasmissioni di cucina (tra cui “Vito con i suoi” su Gambero Rosso Channel), affronta con ironia e un pizzico di cattiveria un tema che gli è particolarmente caro: il cibo!

Con la comicità che lo contraddistingue l’attore prende di mira tutte le manie e gli eccessi che oggi connotano l’argomento, dalla scelta delle materie prime ai ristoranti, passando per le allergie, intolleranze, diete e mode alimentari. Uno spettacolo “politicamente scorretto” in cui chiunque si sentirà “preso in mezzo” e in qualche modo coinvolto!

LA BELLEZZA DELLE PAROLE. STORIE CHE PARLANO DEL PARLARSI

di e con ROBERTO MERCADINI


Dall’esplosione delle lingue di Babele alla bellezza che fa ammutolire. Paradossi e prodigi del linguaggio. Narrazioni ebraiche, indiane, maya, sacre, profane, mitiche, storiche, cosmiche, private. Questo monologo è un inno agli inni, un discorso sul fare discorsi, una dichiarazione d’amore per le dichiarazioni, un desiderio che si avvera nel momento stesso in cui viene espresso. Roberto Mercadini racconta storie (che contengono storie (che contengono altre storie). A volte sopra un palcoscenico. A volte in video. A volte dentro un libro.

“Sui miei spettacoli – scrive Roberto Mercadini – c’è pochissimo da dire. Frequento una forma di teatro essenziale fino alla scarnificazione; un teatro che non ha nulla di moderno perché è primordiale, atavico. Parlo. Non ci sono costumi, scenografie, oggetti di scena, musiche, cambi luce. Ci sono il mio corpo, il mio volto in cima al mio corpo, la mia voce che esce da esso. È teatro di narrazione? Lezione? Orazione? Conferenza? Stand- up? Forse tutte queste cose insieme. Più probabilmente nessuna di esse.”

DELIRIO A DUE

CORRADO NUZZO e MARIA DI BIASE

Acquista i biglietti


Di Eugène Ionesco
Con Corrado Nuzzo E Maria Di Biase
Regia Di Giorgio Gallione
Scene E Disegno Luci Nicolas Bovey
Costumi Francesca Marsella
Co-produzione AGIDI e Coop CMC/Nidodiragno

“Delirio a due” è un piccolo capolavoro del Teatro dell’Assurdo, un irresistibile scherzo teatrale tipico del miglior Ionesco, dove la cornice comica e beffarda e il funambolismo verbale fanno comunque trasparire una società che affoga nella tragedia quotidiana.

In scena Corrado Nuzzo e Maria Di Biase prestano la loro naturale bizzarria, il loro gusto per il capovolgimento improvviso che disegna una situazione che è la perfetta, amara metafora dell’oggi, dove riso e sorriso evidenziano ancor più la banalità quotidiana, il conformismo, le paure di una società inaridita e patologicamente insoddisfatta di sé.